lunedì 10 ottobre 2011

"L'acqua bagna i pensieri". Di Nathalie Salvan



(Da "Il corpo e i sensi nella scrittura creativa", laboratorio, aprile-maggio 2011)


L’acqua bolle e bagna i pensieri. Gli schizzi d’acqua bagnano le palpebre; una, due, tre volte socchiudo gli occhi che sento pizzicare d’acqua fresca. La luce penetra nella mente, il rosso dei papaveri cogli di sorpresa la vista dei viaggiatori. L’acqua bagna i pensieri di chi ascolta l’acqua stessa. Seduti al bordo della fontana sempre con le gambe incrociate a sputar pensieri che mai si fermano.
L’acqua bagna i pensieri, si riferisce alla profondità della mente, alla leggerezza dei pensieri. Canta il rosso usignolo per tutti ormai Pippo: nome buffo che richiama ad altri personaggi simpatici.
Pippo è bagnato dalla stessa acqua che gocciola dalla fronte spaziosa degli amici seduti alla fontana. Egli però non ha pensieri, neppure quello di doversi asciugare prima di prendersi il raffreddore.
L’acqua bagna i pensieri, perché a star fermi la mente vaga, l’energia viene rilasciata nello spazio che è inondato da goccioline silenziose.
Il silenzio è grande e maestoso nasconde segreti non visibili alla velocità, ai suoni alti e voluminosi. Le ruote del carro che passano sulla strada bagnata, rompono il silenzio della piuma.
I passi sul cortile che corrono verso le voci in lontananza raggiungono gli orecchi molo prima dell’esile figura.
L’acqua bagna i pensieri.

***

Sassi, schiuma, mio fratello sicuramente sa. Le onde, il mare. Sassi, schiuma. Le onde sonore, gli ottavi. Il rubinetto come cascata, s’apre ai ricordi di passeggiate giovanili. Di piedi che calpestano l’erba di montagna, di boschi freschi. Un luogo di cui non si sa geografia ma solo ricordo, immagini. L’immagine e l’immaginare è conoscenza che si trasmette, che unisce come il legame di sangue tra fratelli. Il ricordo: l’immagine che riempie la storia di noi. La mia storia, la storia che racconta di te e della tua voce a guidarmi in quella passeggiata all’ombra di faggi.
Ecco la cascata che scroscia: nella mente il gigante liquido che avvolge. Nella mente la tua voce, la tua bocca. La cascata ancora come il rubinetto che s’apre e che continua nel flusso sempre pieno di vita. Di vita e di morte parla l’acqua che rigenera e soverchia il mondo delle case e delle cose umane. Di vita e di morte parla la nostra storia. Di mani che s’incrociano nella memoria, di fratelli che si pensano, di sassi, di schiuma.
Ecco il bianco, il foglio di carta, la penna che segna inesorabile il percorso di questo storia d’altri tempi.
Se cambia il ricordo come cambia la musica che ci circonda, cambia il pensiero.
Cambia il contesto e s’insinua sinuosa la parola ghiacciata.
Confusione e città. Rumori assordanti che con l’acqua maestosa non hanno a che fare. La città allontana all’ascolto come ai suoni della memoria: quelli che escono dalle parole sommesse di pianti e carezze.
La città come grigio, come puzza. Le urla che allontanano dalla vita delle piante, tanto vicino a quella dell’uomo. Ritorno alla cascata, ai ricordi di Simone. Mi piace ritornare indietro con la calma di chi guarda scorrere la cascata senza paura di bagnarsi, senza paura di scivolare. Scivolare sta ad equilibrio come la fame sta al cibo. Sono gli uni indispensabili agli altri. Compensazione? no, non compensazione ma equilibrio. La cascata e l’acqua non hanno bisogno di equilibrio, esse corrono con noi che invece pensiamo di dover saper nuotare.
Le braccia che descrivono semilune attorno a noi, nello spazio pieno e silenzioso.
Starti vicino, abbracciarti ancora.
Ancora e per sempre.
Ancora e per sempre.

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